Allattamento con latte materno: Qualche consiglio ai dubbi più comuni

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Che il latte materno sia l’alimento migliore per un neonato è risaputo, ma quanto sia difficile per una neomamma riuscire ad allattare con serenità il proprio bambino, non è altrettanto noto.

Dopo l’emozione del parto e i tre giorni di relativo riposo in ospedale, comincia per la mamma un periodo di difficile adattamento fisico e psichico: quello che prima era solo suo, il bimbo che poteva sentire muoversi dentro di sé, adesso è reale, piange, è un’entità autonoma che tutti possono coccolare, cullare e prendere in braccio.

Il senso di possesso che deriva dalla perdita di quel rapporto esclusivo alimenta spesso il baby blues che gli ormoni inducono nella maggior parte delle partorienti; a ciò si aggiunge il timore fortissimo di non essere in grado di soddisfare i bisogni del piccolo.

Nei primi giorni dopo il parto, infatti, la quantità di latte prodotta è minima e spesso non soddisfa le aspettative del neonato che necessita, per tanto, di essere attaccato al seno con più frequenza. È proprio in questa fase che un supporto psicologico riveste un  ruolo fondamentale: cedere alla tentazione di somministrare aggiunte di latte artificiale diventa facilissimo, specie se nonne e zie favoleggiano raccontando di montate lattee abbondanti sin dal primo momento.

In realtà nei primi cinque sei giorni dopo il parto la mammella produce il cosiddetto “colostro”, un alimento più giallo e più denso del latte successivo, rispetto al quale è più ricco di proteine e più povero di grassi e di zuccheri. Per la sua composizione chimica, considerando l’alto contenuto proteico e di sali minerali, il colostro è certamente l’alimento ideale per la ripresa del peso subito dopo la nascita, quando vi può essere un piccolo calo di peso (chiamato comunemente “calo fisiologico”) e muta gradatamente la sua composizione fino a raggiungere quella del latte maturo, attraverso uno stadio detto “latte di transizione” in cui diminuisce la quota di proteine e di sali minerali mentre aumenta quella dei grassi.

È questa la così detta fase della “montata lattea”: i seni divengono turgidi, congestionati, caldi e spesso dolenti. Con la suzione il neonato provoca un riflesso nervoso che assicura una continua e abbondante produzione di un ormone che favorisce il passaggio del latte dal tessuto ghiandolare ai dotti galattofori, da dove il bambino può estrarlo con facilità.

Si crea così quel congegno perfetto messo a punto dalla natura in base al quale più cresce la ‘domanda’ del piccolo, più aumenta la produzione di latte che si attesterà fra il I° e il 6° mese fra i 600 e i 900 grammi nelle 24 ore (il doppio nei gemelli).

Non passa giorno che non si individuino nuovi “vantaggi” dell’allattamento al seno, sia per la madre che per il bambino: vantaggi di natura biologica, che si traducono fondamentalmente in un accrescimento ottimale, in una facilitata relazione affettiva e nella protezione da molte malattie, sia nell’immediato che nelle età successive (oggi ad esempio sappiamo che l’allattamento al seno esercita un effetto protettivo anche nei confronti dell’arteriosclerosi e dell’insorgenza di allergie).

Certo non è semplice per la puerpera vincere la battaglia contro i timori e i luoghi comuni che la circondano, dover passare gran parte della giornata e della nottata ad allattare il piccolo con il dubbio che il peso non sia aumentato. È importante, per tanto, che in questa fase sia supportata dalla famiglia, dal compagno, dal pediatra, che dovrebbero incoraggiarla ad insistere prima di cedere al latte artificiale.