Dormire poco e spesso con il sonno polifasico

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Il sonno polifasico è la pratica di dormire minor tempo ma più volte al giorno ed è tipico dell’85% degli esseri viventi: per l’uomo, è tipico solo da neonato invece.

Il sonno, infatti, è un processo che muta durante il corso della vita: da neonato è polifasico (alternanza continua di veglia e sonno), nel bambino è bifasico (dorme la notte e il pomeriggio), nell’adulto è monofasico (si dorme solo la notte), nell’anziano torna ad essere bifasico o polifasico.

Se guardiamo alla storia e ai suoi grandi personaggi però, possiamo notare che soggetti del calibro di Leonardo da Vinci, Thomas Edison, Buckminster Fuller, Thomas Jefferson e Napoleone, ad un certo punto della loro esistenza, hanno deciso di modificare il loro modo di dormire, adottando il sonno polifasico. Proprio Leonardo da Vinci giunse a dormire un totale di 2 ore al giorno, chiudendo gli occhi per soli 20 minuti ogni 4 ore, continuamente. A riprova dei benefici che questo modo di dormire può avere, anche diversi studi negli ultimi anni, hanno affermato che non sono necessarie obbligatoriamente le famose 8 ore di sonno per riposare e recuperare le energie ma, ottimizzando la qualità del sonno, ne basterebbero molte meno.

Le fasi del sonno: leggero, pesante e fase REM

Il riposo si compone di 3 fasi che si ripetono a ciclo durante la notte, per 4-5 volte (sonno leggero, pesante e fase REM) ma solo la fase REM, in realtà, serve al corpo per riposare, le altre 2 sono invece inutili. Inoltre, questi studi evidenziano come il cervello aumenterebbe autonomamente la durata della fase REM (si adatta per trarne vantaggio per se stesso) nello stesso periodo di sonno, se dovesse sapere di poter dormire poco: in pratica, sarebbe capace di migliorare il sonno dormendo meno e farebbe cominciare immediatamente la fase REM, e non dopo un’ora come avviene solitamente. Per sfruttare questa naturale e grande capacità di adattamento alle diverse condizioni, basterebbe fare in modo di svegliarsi al termine di questa fase: il corpo si sentirebbe riposato come se avesse dormito nel modo tradizionale per un’ora e mezza (dormendo poi più volte durante il giorno).

In generale, le statistiche dicono che dormire 7 ore, rispetto ad un sonno più lungo, sia legato ad un minore rischio di mortalità e che, con il comportamento inverso (dormire tanto e troppo), si potrebbe accusare anche un sovraccarico di sonno R.E.M. che, fitto di sogni, sta alla base dell’affaticamento, della depressione e della malinconia. Per questo consigliano il sonno “polifasico ultrabreve” (segnalate come essere le tecniche più efficienti e produttive) e una riduzione delle ore di sonno del 10-25% a lungo termine e fino al 50%, nel breve termine.

Coloro che hanno provato sperimentalmente queste tecniche, hanno segnalato come, dopo i primi 2 giorni faticosi e difficili da sostenere per gli obblighi che si infliggono al proprio corpo (cambiamento di abitudini), si raggiunge una progressiva sensazione di energia, vitalità, efficienza e benessere, oltre al fatto di poter avere a disposizione 5 ore di veglia in più al giorno, in cui poter fare molte altre attività.

Naturalmente, è assai arduo alzarsi al suono della sveglia dopo 4 ore, e pare più difficile concentrarsi in quelle attività monotoni, ripetitive e rilassanti che conducono all’inattività e alla sonnolenza (già in “normali” condizioni); si rileva invece una migliore efficienza per quelle attività che richiedono attenzione e sono maggiormente impegnative e coinvolgenti.

Quindi, il sonno polifasico apporta benefici al corpo e fa guadagnare del tempo materiale, ma bisogna ammettere che non può essere una metodologia adatta a chiunque: innanzitutto, non è un’abitudine socialmente accettata dal mondo in cui viviamo, il quale si basa ed è strutturato sui ritmi notte/giorno. Ciò rende difficile la vita sociale anche nei rapporti con le persone intime: basti pensare ad una consueta uscita con gli amici il sabato sera costituita da aperitivo, pizza e cinema o ad una giornata sciistica che divengono impossibili concretamente, da portare a termine, perché troppo lunghe rispetto alle 4 ore di autonomia che il soggetto polifasico ha a disposizione di veglia.

Inoltre, anche la scuola, il lavoro, i ritmi della società divengono insostenibili e in contrasto con i propri orari. Coloro che ne potrebbero beneficiare, invece, sono quelle categorie professionali che già di per sé hanno ritmi diversi dai comuni e a cui viene richiesta una produttività particolare in termini di attenzione, efficienza e orari (personale sanitario, di volo e lavoratori notturni). Come effetto negativo, bisogna rilevare l’artificialità di questa tecnica: il corpo viene obbligato a modificarsi da una parte e, dall’altra, chi si abitua a differenti cicli di sonno-veglia può riscontrare poi difficoltà e problemi nel tornare alle vecchie abitudini, anche da un punto di vista fisico (sistema vegetativo, endocrino e immunitario).
Se si decide di modificare il proprio modo di dormire e giungere al sonno polifasico, è bene ricordare anche piccole avvertenze alimentari: evitare di assumere caffeina prima di coricarsi, perché può alterare gli orari da seguire, e ridurre l’apporto di carboidrati poiché provocano nell’immediato uno stato di massima vigilanza e poi un crollo energetico.

La tecnica Everyman

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Ci sono varie tecniche per realizzare il sonno polifasico: quella detta Everyman è stata creata per essere accessibile e flessibile più delle altre, anche se magari non è la più efficace. Si tratta di dividere il sonno in quattro fasi equidistanziate: 1 parte di 3 ore consecutive + 3 parti da 20 minuti. Quindi si può dormire dall’1 alle 4 di notte e poi alle 9, alle 14.20 e alle 19.40 ma questi orari si possono comunque modificare a piacimento (è sufficiente mantenerli sempre equidistanziati).

Il corpo impiega circa 2 settimane ad abituarsi al nuovo metodo: ci si può sentire più stanchi all’inizio ma questa condizione è facilmente sopportabile. Nel caso in cui al risveglio dopo le 3 ore consecutive, di notte, ci si senta ancora troppo stanchi e deboli, significa semplicemente che il proprio ciclo corporeo richiede più sonno e quindi, basta aggiungerne mezz’ora (prima dell’1 o dopo le 4) per riacquisire le forze.

La tecnica di Uberman

La tecnica di Uberman invece, conduce a dormire 2 ore totali al giorno: è composta da 6 fasi di sonno di 20 minuti ciascuna (era appunto la tecnica seguita da Leonardo da Vinci). Il grande difetto che rende il metodo poco applicabile nella vita reale è la poca autonomia di veglia che il soggetto ha a disposizione fra una dormita e l’altra: come già specificato sopra, dovrebbe riuscire a modificare interamente il proprio stile di vita personale e sociale.

La rigidità degli orari è l’altro grande ostacolo: fino a quando il corpo non si abitua ai nuovi ritmi (quindi almeno per il primo mese), è fondamentale dormire ogni 4 ore precise. Solo allora si può ritardare o anticipare parzialmente i riposi programmati, al massimo di 1 ora, per allungare l’autonomia di veglia effettiva. Si consiglia di deviare il meno possibile però.
Come effetti positivi della metodologia, si è constatata una migliore percezione – attenzione e una riduzione dei tempi di reazione del soggetto. La sera non si avverte più la consueta stanchezza di fine giornata, dopo cena, dovuta al prolungato stato di veglia e dall’abitudine di riposare e di essere inattivi quando cala il buio.

Più ore a disposizione…ma attenti alla noia!

Attenzione, sebbene il recupero di tempo sia il massimo beneficio apportato da questo nuovo modo di dormire, ciò può rilevarsi un ulteriore problema da affrontare: la noia. Guadagnando sei ore al giorno, se non si hanno obiettivi chiari e progetti per riempire questo nuovo tempo a disposizione, sarà facile annoiarsi e cedere (soprattutto quando gli altri stanno dormendo) abbandonando velocemente la tecnica. Pensate bene a come riordinare e riempire le vostre “nuove” giornate dunque!