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Come vestirsi senza far male al pianeta

Valeria

La maggior parte di noi conosce bene l’impatto ambientale legato all’utilizzo di cosmetici non bio e all’acquisto e al consumo di alimenti inondati di pesticidi e fertilizzanti chimici.

Come ormai tutti sappiamo, i cosmetici non biologici contengono spesso sostanze derivanti dal petrolio, dunque inquinanti per l’ambiente (oltre che potenzialmente nocivi per noi stessi); anche i cibi, che si tratti di alimenti di origine vegetale o di origine animale, hanno un grosso impatto ambientale, per via delle sostanze utilizzate per aumentare la produzione (antibiotici, pesticidi, fertilizzanti chimici), per non parlare poi dell’impatto sociale (commercianti del Sud del mondo ridotti in povertà) ed ecologico (deforestazione, perdita della biodiversità e inquinamento delle falde acquifere).

Pochi però sanno che anche il modo in cui ci vestiamo ha una grande influenza sul pianeta. Ovviamente la moda ci condiziona pesantemente, facendoci ritenere obsoleti e inutili capi acquistati l’anno prima (e magari usati pochissimo) e spingendoci a rinnovare continuamente il nostro guardaroba.
La soluzione? Se proprio non si può fare a meno di comprare ogni anno decine e decine di nuovi abiti, sarebbe il caso di portare quelli inutilizzati ai mercatini dell’usato oppure consegnarli alle associazioni di volontariato che si occuperanno di donarli a chi ne ha più bisogno. Se non altro i nostri armadi respireranno un po’…

Tutto ciò però non basta ed è importante conoscere l’impatto ambientale delle sostanze di cui sono fatti gli abiti che acquistiamo, per renderci finalmente conto e comprendere appieno la “storia” di quello che compriamo, spesso in modo assolutamente inconsapevole.

Come sappiamo bene, le case di moda producono spesso all’estero, soprattutto in Cina, per ridurre i costi della manodopera. Il problema è che vengono utilizzate sostanze dannose (sono state trovate tracce di alchifenoli e composti perfluorutati, pericolose perché alterano il sistema ormonale) durante la produzione di tali tessuti. Lavaggio dopo lavaggio, tali sostanze vengono liberate e finiscono nei nostri mari. E nel pesce che mangiamo.

Ma quali sono le fibre tessili più virtuose dal punto di vista ambientale? Il cotone, a differenza di quanto molti potrebbero pensare, ha un grosso impatto sul pianeta. Il cotone non bio richiede 1 kg di prodotti chimici per ogni kg di fibra lavorata. Il cotone occupa il 3% della superficie coltivabile del pianeta e richiede il 10% dei pesticidi utilizzati in agricoltura. Numeri davvero impressionanti. E poi c’è il cotone OGM, un ottimo investimento per le multinazionali, ma pessimo per gli agricoltori locali, costretti a comprare ogni anno semi costosissimi (il cotone OGM è infatti sterile). Insomma, l’impatto del cotone è enorme, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista ambientale (basti pensare che per produrre un kg di fibra di cotone occorrono almeno tra i 7 mila e i 29 mila litri di acqua).

Che dire poi della seta? Tutti sanno che per produrre la seta si bollono vivi i bachi, per evitare che l’animale rompa il filamento dell’involucro del suo bozzolo.

Le fibre sintetiche, come nylon, acrilico, PVC, oltre a far sudare e non far traspirare correttamente la pelle, contengono sostanze derivanti dal petrolio. Che si traduce in rifiuti pericolosi da smaltire, emissioni di inquinanti nell’aria e ingente consumo energetico.

La pelle è anch’essa molto costosa, sia in termini di utilizzo di sostanze nocive e tossiche – liberate poi nell’ambiente – sia per l’enorme consumo di acqua, 40 litri per ogni kg di pelle. L’ecopelle non ha nulla di ecologico: richiede infatti l’utilizzo di sostanze derivanti dal petrolio.

Quindi l’alternativa qual è? La prima cosa da fare, per difendere noi stessi e il pianeta dove viviamo, è imparare a leggere le etichette. Scegliere il cotone biologico è il primo passo verso un consumo più responsabile. Occhio alle certificazioni, quelle più note sono Ifoam, Fairtrade, Soil Association, ICEA, Ecolabel, GOTS. Purtroppo i negozi convenzionali difficilmente vendono cotone biologico, ma per fortuna la rete viene in nostro soccorso. Ecco a voi qualche indirizzo utile: www.altramoda.net, www.acquistiverdi.it, www.bioecoshop.com, www.shopequita.com.

In alternativa al cotone bio, altre fibre a basso impatto sono il lino, una piante che richiede un bassissimo uso di insetticidi e pesticidi, e la canapa.

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